L
A
L I N G U A
La distinzione
tra il dialetto e il vernacolo è sottile, si potrebbe dire che il vernacolo è
il dialetto parlato dal “popolino”, dalle persone meno colte della
popolazione di una città ed alle quali si perdona una libertà di linguaggio e
di espressioni inammissibili tra persone colte; tuttavia a queste non si
dovrebbe fare appunto alcuno se parlano il proprio dialetto con persone dello
stesso ambiente. E’ solo dopo l’Unità d’Italia che le persone colte di
tutte le regioni hanno dovuto e devono parlare i dialetti (fiorentino e senese)
che i nostri più grandi poeti e scrittori hanno scelto come lingua comune,
nazionale, l’Italiano. Il vernacolo livornese ha subito le influenze delle
popolazioni con le quali i livornesi vennero a contatto: Inglesi, Greci, Ebrei,
Francesi, Fiamminghi, Armeni e perfino Arabi e Turchi con i quali la nostra
gente visse fianco a fianco per secoli, tesi a fare Diversis
Gentibus Una ossia “Una sola
cittadinanza da genti diverse” così come era scritto su l’“Unghero”,
la prima moneta livornese fatta coniare dal Granduca Ferdinando II nel
1655.Scrissero in vernacolo livornese: Natale Falcini (1759-1835) e Giovanni
Luigi Fiori (1790-1868), il Pancani, autore della “Molte d’Ugolino”; un
anonimo che scrisse “Testamento del Menicanti”, Giovanni Guarducci, esule a
Bastia che lasciò, nel 1853 “Leon Cesana” in gergo ebraico - livornese.
Trai i grandi vernacolieri si pone Dino Targioni Tozzetti, conosciuto come “Cangillo”,
autore dei sonetti “cor pepe e cor sale”.
A L C U N E
C A R A T T E R I S T I C H E
D E L
P A R L A R E
L I V O R N E S E
- la lettera C
scompare quasi sempre davanti alle vocali A, O, U non accentate.
Ad esempio:
Mondo ‘ane, bella ‘asa, ‘r mi amio: mondo cane, bella casa, il mio amico.
Ma si dice: un
cane, tre case, un cavolo, dove anzi la lettera C è rafforzata.
Cede spesso il
posto alla G come, per esempio,
gostare per costare.
- la lettera R
prende spesso il posto della L come arbero al posto di albero, pubbrio per
publico, grolia per gloria.
- la lettera L
si vendica prendendo molto spesso il posto della R, come Livolno invece di
Livorno.
- Sempre la L
prende delle volte il posto della S impura, come in chi ha la lisca, ad
esempio fialco per fiasco, lcatola per scatola.
- Il dittongo L
all’inizio di molte parole come ilplegato invece di sprecato. ilsplegià
invece di spregiare lo troviamo specialmente negli scritti in vernacolo
dell’800.
- l’articolo IL
diviene ER e spesso tronca in ‘R: ‘r vino, ‘r cane.
- le consonanti
sono spesso raddoppiate: rubbare, doppo, viddi.
- QUEL e QUEI
divengono QUER e QUE’: ma molto spesso la Q diventa
V come vistura invece di questura,
vaini invece di quaini, vello invece di quello.
- la lettera O
spesso si trasforma in U come:
Munumento per monumento, Muntinero per Montenero, curtello per coltello.
- l’avverbio
di negazione NON diventa NUN e per
aferesi ‘UN o ‘N: nun mi pare, un ci pensare, ‘n ci andare.
- la lettera V
diviene B, cosicché possiamo avere
bibo per vivo, abanti per avanti (bagitto: gergo
ebraico-livornese)
-
nell’infinito dei verbi è eliminata la sillaba finale RE; ma spesso sfugge a
questa regola, specie nelle poesie per ragioni di metrica e di rima.
- si dice eramo
(eravamo), sentirno (sentirono), furno (furono),
andorno (andarono).
- per
assimilazione si dice lassare per
lasciare, mangialli per mangiarli, piglialli
per pigliarli, pregatti per
pregarti.
- il presente
congiuntivo è spesso alterato: leggano, vengano, dicano divengono legghino, venghino, dichino.
- sfuggono a
regole precise parole quali: cimitieri per
cimiteri, carubinieri per
carabiniere, grillanda per ghirlanda,
limosina per elemosina, utimo
per ultimo, dua per due, mana per
mano, noe per no, stiavo
per schiavo, armanco per almeno.
I L B
A G I T T O
Esistendo un
“gergo ebraico - livornese” è necessario parlare del “bagitto”.
Gli ebrei
provenienti dalla penisola iberica rifugiatisi nel livornese conservavano la
lingua del paese d’origine. Essi, per i loro commerci dovevano inoltre parlare
il turco e l’arabo con i marinai e i mercanti e, naturalmente, il toscano con
gli abitanti del Granducato. Così, mentre la lingua ufficiale rimase il
portoghese, cui è poi sostituito lo spagnolo, verso il 1700 viene a formarsi
una nuova parlata: il Bagitto. Dallo spagnolo Bajito, il bagitto sarà lo
strumento verbale di comunicazione del popolo, formato dal convergere di tanti
influssi linguistici. Nel bagitto, al dialetto locale, venivano ad aggiungersi
parole ebraiche ed aramaiche oltre a termini portoghesi e spagnoli, senza
riguardo per la grammatica. Il gergo ebraico - livornese ha come caratteristica
inconfondibile la tonalità nasale. Lo stesso nome Bagitto può forse derivare
da vagito, poiché la cadenza strascicata di questa parlata ricorda molto il
cantilenare dei bambini. Cosa certa è che il Bagitto ha influenzato il
vernacolo di Livorno, ma anche di Pisa. Tutt’oggi a Livorno sono molto in uso
termini ebraico - spagnoli.
- A -
Nel parlare
livornese le parole che iniziano con la lettera A sono più numerose di quelle
che possano invece figurare in qualsiasi dizionario di vernacolo. Questo dipende
dal fatto che a Livorno usa anteporre la "A"
a molti verbi tanto da raddoppiare la consonante con la quale i verbi
iniziano. Esempi: arreggere da
reggere, asserbare da serbare, affrugarsi
da frugarsi, abbadare da badare, appatire
da patire, acchinarsi da
chinarsi, ammarcire da marcire, ascendere
da scendere (nella lingua italiana, addirittura ascendere significa salire).
- B -
La consonante B, nel livornese ha una sua funzione caratteristica:
sostituisce la V.
- C -
mentre i fiorentini aspirano la lettera C, i
livornesi la eliminano del tutto quando è seguita da A, O, U, nel corpo delle
parole. Quando è iniziale, se preceduta da un articolo è eliminata; come la è
quando è seguita dalla R sia in inizio sia nel corpo delle parole. Ad esempio
la parola casa; quando è ad inizio di frase la C è pronunciata, mentre se
preceduta da un articolo o da un possessivo si elimina: “la mi’ ‘asa”.
Se qualcuno volesse imitare uno di Livorno sicuramente direbbe: “Vado a ‘asa”.
Nessun livornese eliminerebbe quella C, anzi, in casi simili sarebbe quantomeno
raddoppiata: “vado accasa”.
- E -
la vocale E è usata in maniera singolare come ad esempio: “E bisognava
essere senza cuore” o come “E ci si deve divertire in casa tua”. Se
proviamo ad eliminare le E iniziali ci accorgeremo che le frasi perdono
l’energia ironica.
- H -
qualcuno sostiene che l’H è inutilissima. A Livorno è usata in modo
concreto quando si trova tra C e G e le vocali E ed I a formare le sillabe che,
chi, ghe, ghi. Ma anche in questa posizione l’H è soggetta ad essere
eliminata. La parola “chimica”, ad esempio è pronunciata con la C dura, se
si dice “la chimica” C ed H spariscono e il risultato è “la ‘imia”.
Nella letteratura vernacola livornese tuttavia si trovano spesso parole che
hanno inizio con un’H, che nella parlata, non è nemmeno aspirata.
- L -
nel parlare livornese l’importanza della “L” è basata
esclusivamente sulla “lisca”.
- N -
s’installa d’autorità al posto della sillaba “GLI” così che
“glielo vai a dire a lui?” diviene “ ne ne vai a dì a lui?” e “gli
dissi”, “ni dissi”.
- Q -
spesso subisce una completa trasformazione diventando V, conseguentemente
alcune parole che in italiano iniziano con la lettera Q, nel livornese le
troveremo alla V.
- R -
molto spesso l’E diventa L come LIVOLNO per LIVORNO, ma spesso è
possibile trovare la lettera L trasformata in R.
- V -
questa consonante ha due essenziali particolarità, sostituisce la Q in
QUA, QUE, QUI, ad inizio parola: quattrini diviene vaini; questo diventa vesto;
quistione è vistione. Spesso la V diviene B come ad esempio bibo per vivo.
A L C U N I
M O D I D I D I R E
SCIORINARE:
a volte capita di ascoltare persone “che ti sciorinano un po'’ po'’
di discorso che la metà bastava”. In effetti taluni sono abituati ad esporre
le proprie idee senza fare molta attenzione a quello che dicono. La parola
significa “mettere continuamente all’aperto/esporre all’aria ed è
imparentata strettamente con il termine sciorino: l’operazione che i marinai
facevano per esporre al vento le vele.
TRACCHEGGIARE:
per i livornesi, il verbo vuol dire “perdere o far perdere tempo
inutilmente”. In realtà il termine è del 1600/1700 e fa parte del
vocabolario marinaresco. Esso indicava tutte le manovre che, durante una
battaglia o subito prima, costringevano il nemico a mutare il ritmo di palata,
l’estensione della velatura o l’orientamento dei pennoni. In questo modo le
navi avversarie perdevano tempo oppure il vento favorevole, mettendosi in una
posizione di svantaggio durante il combattimento.
FASSI BENEDI’
DA’ GRECI:
nei secoli passati i bambini ammalati o gracili erano portati dai
genitori nella chiesa dei Greci Uniti in via della Madonna per essere benedetti.
Si riteneva infatti che se la benedizione fosse stata impartita in quella
chiesa, i bambini avrebbero avuto una salute migliore e sarebbero stati più
fortunati nella vita. Oggi a Livorno si consiglia tale pratica a chi è
particolarmente sfortunato, sia negli affari sia nell’amore, nella speranza
che la malasorte possa essere rovesciata.