M O N U M E N T I E P A L A Z Z I
FORTEZZA VECCHIA
Incorpora tre
edifici più antichi: una torre romana (si vede solo un resto), una torre
merlata di forma cilindrica detta “Mastio della Contessa Matilde” edificata
intorno alla fine dell’XI° secolo, la Quadratura dei Pisani o Rocca Nuova
eretta dai pisani intorno al 1380. Il fortilizio, così come lo si vede ora, fu
voluto dal Cardinale Giulio de’Medici. Doveva divenire una cittadella in grado
di ospitare migliaia di soldati. Opera maggiore della città è costruita
anteriormente alla sua fondazione. Incerta l’attribuzione: secondo alcuni è
da attribuire a Sangallo il Giovane (Antonio Cardini 1483-1546), secondo altri
Sangallo il Vecchio (Antonio Giamberti 1453/55?-1534), specialista in simili
fortificazioni, sarà costruita munendola di solide cortine e circondata in ogni
parte dal mare. I lavori iniziano nel 1521 e dopo una interruzione riprendono
per terminare, sotto il Duca Alessandro de’Medici nel 1534. Per formare il
largo canale che doveva separarla dalla terraferma, si abbattono l’antica
Pieve di S. Maria e Giulia insieme ad alcuni isolotti di case. Nel 1544 Cosimo I
fa costruire sul bastione occidentale detto “ Canaviglia “ un palazzotto da
adibire a sua residenza che sarà ulteriormente rialzato di un piano nel 1590
sotto Ferdinando I. Durante il Risorgimento vi furono imprigionati il Guerrazzi
oltre al sacerdote G. B. Maggini, Fedi, Bartelloni ed altri. Questi ultimi, dal
sacerdote al Bartelloni con altri popolani saranno barbaramente fucilati dagli
Austriaci dopo la loro entrata in città nel Maggio 1849.
F O R T E Z Z A
N U O V A
Si
chiama in questo modo per distinguerla dalla precedente anche se dall’una
all’altra corrono poco più di cinquant’anni. Voluta dal granduca Ferdinando
I de’Medici su disegno di Giovanni de’Medici assistito da Vincenzo Bonanni e
Bernardo Buontalenti, vede la posa della prima pietra il 10 Gennaio 1590.
Costruita per difendere la città dalla parte di settentrione, vi si accedeva
per mezzo di un ponte levatoio e in seguito su un piccolo ponte a due luci in
muratura tuttora esistente; nel recinto vi erano vari alloggiamenti militari e
sulla parte più alta una distesa di terreno. Per lungo tempo un cannone sugli
spalti sparava un colpo di cannone per dare l’ora esatta ai livornesi. La
Fortezza Nuova, in origine aveva una estensione perlomeno doppia dell’attuale
con fondamenta che poggiavano nelle propaggini meridionali dell’antico Porto
Pisano per arrivare fino al Ponte di Marmo. Un affresco nella Sala Bona degli
Uffizi di Firenze, che riproduce la pianta della città di Livorno mostra
l’estensione originaria della fortezza. E’ portata alle dimensioni attuali
per permettere la costruzione di nuove abitazioni e magazzini. Si procede alla
costruzione dei quartieri Venezia e S. Marco che sorgono appunto sui resti della
Fortezza nel 1629 su disegno dell’architetto G. B. Santi. Le distruzioni della
seconda guerra mondiale hanno messo in luce vastissimi sotterranei prima
sconosciuti.
C A T T E D R A L E
Iniziata nel
1594 su disegno di Alessandro Pieroni ed esecuzione di Antonio Cantagallina. Le
cappelle laterali furono aggiunte dal 1716 al 1738, la tribuna nel 1763, il
campanile a torre opera di G. Pampaloni nel 1817, il Battistero nel 1756. Era
particolarmente bello il ricco soffitto in legno. La facciata era aggraziata da
un peristilio a colonne binate di ordine dorico che armonizzavano con quelle
delle logge della piazza. La chiesa andò completamente distrutta dai
bombardamenti del ‘44. Dalle macerie emersero i resti del muro sinistro con
due altari e monumenti sepolcrali. La Cattedrale sarà restaurata secondo il
disegno primitivo completato all’esterno dai portici laterali della crociera
con modifica dell’abside. Con un lavoro paziente si ricompongono alcune opere
originali, le sei grandi colonne di marmo rosa che sostengono gli archi della
crociera, l’altare maggiore con i pregevoli marmi con ai lati teste di angelo
opera di Quesnay, le cantorie con sottostanti porte in marmo (dono di Antonio
de’Medici), l’altare del SS. Sacramento con il tempietto e i due angeli
opera di G. Baratta.
S I N A G O G A
Costruita nel
1603, era un quadrilatero fornito in tre lati da logge interne, sulle quali
sorgeva una sola galleria per le donne. Nel 1789, ad opera dell’architetto
Ignazio Fazzi, si aggiunge una seconda galleria per le donne; si allarga la
parte del pubblico e una specie di santuario che si vedeva in faccia adornato da
marmi scelti. Il Tempio era considerato il più bello e più grande di Europa
dopo quello di Amsterdam. E’ completamente distrutto dai bombardamenti aerei.
La nuova Sinagoga, in stile modernissimo ha una altezza di circa venti metri a
forma ottagonale. Molto bella internamente, mantiene l’antica tribuna centrale
recuperata. L’esterno si presenta nudo e granitico e vuol rappresentare,
secondo una antica tradizione ebraica, una fortezza vera e propria.
C H I E S A
D I S.
G I U L I A
Si costruisce
nel 1606 su terreno concesso alla comunità da Ferdinando I. Una lapide apposta
nell’ingresso ricorda il gesto del granduca. Nell’interno altare in marmo di
Niccolò Carducci (XVII sec.) sormontato da quadro raffigurante la Santa, opera
di scuola giottesca attribuita al maestro di Varlungo (seconda metà XIII sec.).
Sotto l’altare è collocato il prezioso Reliquiario foggiato in argento e rame
dorato come l’armo della città, la Fortezza cui sovrasta una piccola statua
di Santa Giulia contenente parti del corpo della Santa. Prezioso il paliotto
d’argento opera dell’orafo Antonio Leonardi nel 1682. All’ingresso della
chiesa si trovano due nicchie che un tempo ospitavano le statue di S.
Pietro
e S. Paolo oggi alla chiesa del Soccorso. Attraverso un cortile si trova la
cappella di S. Ranieri costruita, come ricorda una lapide facciale, sull’area
cimiteriale all’epoca di Ferdinando I, negli anni a cavallo tra il 1696 e il
1701. La costruzione di questa cappella dedicata al Santo Patrono della città
di Pisa è spiegata dal fatto che all’epoca Livorno non era sede vescovile
bensì dipendeva appunto dalla vicina Pisa. Per questo la Arciconfraternita
decise di innalzare un tempio a S. Ranieri per venerare il Santo della sua
Archidiocesi dell’epoca. All’interno si trova un altare in marmo con colonne
tortili (a spirale), alla base stemma di Francesco Lorenzi “balì”
dell’ordine marinaresco di S. Stefano, sopra cartella marmorea. Alle pareti si
notano tracce di affreschi di Francesco Natali. Notevole la pavimentazione che
copre nove sepolture con iscrizioni in latino, magnifici stemmi gentilizi ad
intarsio appartenenti a cavalieri di S. Stefano ad eccezione di quella di certo
Anselmus Faiolus, mercante francese.
M O N U M E N T O
A I Q U A T T R
O M O R I
La statua
rappresenta Ferdinando I (considerato fondatore della città). A ricordo delle
vittorie da lui ottenute con l’opera dei
Cavalieri di Santo Stefano sui barbareschi, conferì egli stesso incarico a
Giovanni Bandini, scultore fiorentino di scolpire una statua che lo
rappresentasse con la divisa di Gran Maestro dell’Ordine di S. Stefano.
Bandini si recò a Carrara per scolpire la statua che è poi condotta a Livorno
per mare. Era però sua intenzione far collocare ai suoi piedi quattro corsari o
barbareschi e conferì perciò incarico a Pietro Tacca di effettuare queste
statue in bronzo. Tacca, carrarese allievo di Giambologna venne a Livorno per
visitare il bagno penale (si possono vedere resti nel giardino adiacente la
Questura) e ne ritrasse quattro dei più belli (qui esistono varie versioni: il
più bello di questi sventurati, un turco nativo di Algeri di età giovanile,
forte e ben piantato si chiamava “Morgiano”; una versione, la prima, afferma
che essi rappresentino l’età dell’uomo; la seconda narra di un certo Alì
Salentino e dei suoi tre figli che sembra fossero incatenati nel bagno
livornese). Il monumento sarà eretto solo nel 1617 per volere di Cosimo II
(Ferdinando I era morto) i mori sono eretti in date successive: i primi due, che
guardano il mare nel 1623, gli altri nel 1626. Ad ornare la base furono posti
emblemi militari, vesti e trofei barbareschi. Questi ornamenti sono portati via
nel 1799, dai repubblicani francesi quando lasciarono la città e malgrado
ricerche fatte presso vari musei di Francia non sono più stati ritrovati.
Pietro Tacca aveva fatto anche fondere due belle fontane rappresentanti animali
marini da collocare ai lati del monumento, ma quando Cosimo II le vide decise
che sarebbero state meglio a Firenze dove infatti tuttora si trovano in p.zza
della SS. Annunziata. Copie di queste fontane è possibile vederle in p.zza
Colonnella.
F O N T A N E
D E L T A C C A
Si tratta di due
copie, perché gli originali, come già abbiamo detto si trovano in Firenze. Di
linea rabescata che crea pesci e mostri marini con creste dentate e gli
sgocciolatoi simili a grosse valve accartocciate. L’opera di Tacca riferisce
al periodo più creativo dell’artista quando decise di abbandonare il
naturalismo (vedi Quattro Mori). Delle due fontane, una sembra sia stata donata
dal Comune di Firenze nel 1963 fusa nel calco originale del Tacca, l’altra è
stata fatta dal Comune di Livorno.
P A L A Z Z O
G R A N D U C A L E
Si edifica in
piazza d’Arme nel 1605 per ordine di Ferdinando I, dall’architetto Antonio
Cantagallina. Su progetto dell’architetto Santi sarà ingrandito ed arricchito
del portico sulla piazza d’Arme nel 1629. Da allora servì anche come
residenza granducale. Il palazzo è andato completamente distrutto nel corso
della seconda guerra mondiale. Quello che vediamo oggi, sede della Provincia è
frutto di una ricostruzione che conserva alla facciata le caratteristiche di
quello precedente. La nuova costruzione si presenta arretrata rispetto al
distrutto originale; l’arretramento è dato dalla nuova dimensione della
piazza.
P A L A Z Z O
C O M U N A L E
In origine i
rappresentanti del Comune si adunavano nella Pieve di S. Maria e Giulia ed in
seguito nella chiesa di S. Antonio. Sembra che avessero poi residenza in una
casa nella piazza del Villano, ed ancora nel palazzo della piazza della Fortezza
Vecchia e in via S. Giovanni. Acquistarono una casa in via del Porticciolo dove
poi, su apposita torretta, fu posta una grossa campana fusa nel 1650. La comunità
rimase in questa casa fino alla costruzione dell’attuale palazzo. Si inizia ad
edificare questo palazzo - ad uso di residenza del Comune - nel 1720 su disegno
di Giovanni Del Fantasia. Danneggiato dal terremoto del 1742 è restaurato e
quasi riedificato da Bernardino Ciurmi, ingegnere che vi aggiunge la scala
esterna di marmo. Paritempo è rifatta la torre per collocarvi la vecchia
campana. Duramente colpito durante la guerra il palazzo è riparato e
ricostruito.
C A M E R A
D I C O M M E R
C I O
Il palazzo che
ospita la Camera di Commercio nasce nel 1648 come palazzo della Dogana su
disegno di Annibale Cecchi di Pistoia. Successivamente passerà alla Borsa di
Commercio istituita con regio decreto del 14 Febbraio 1872. Ornato da un bel
portico a tre archi, sorretti da elevati pilastri a bozze di pietra serena
chiusi da cancelli in ferro. Sotto le sue logge avverrà la prima estrazione del
Gioco del lotto nel 1749. Il gioco del lotto, già chiamato “Giuoco di
Genova” perché inventato in quella città, fu introdotto dal Governo in
Toscana nel 1739. Sembra che il gioco del lotto avvenisse anche prima di questa
data, ma il Governo stesso lo aveva proibito in quanto molto denaro andava a
Genova.
C H I E S A
D E L L A M A D
O N N A
Inviati a
Livorno da Ferdinando I, i Padri Minori Osservanti dopo provvisorie sistemazioni
riuscirono ad ottenere dal granduca il terreno e abbondanti sussidi per la
costruzione del convento e della chiesa. La prima pietra è posta il 2 Marzo
1607.Disegno, sia del convento che della chiesa, di Alessandro Pieroni. Ha
subito ampliamenti e restauri generali: il primo ampliamento si ha intorno al
1630; il secondo nel 1700 quando il soffitto fu ridotto a volta; i restauri
avvengono nel 1860, nel 1902, nel 1926 e nel 1951.L’altare maggiore è formato
di vari marmi armoniosamente riuniti e porta un pregiato tabernacolo destinato
ad accogliere una Madonna del Carmine, scolpita in legno dipinto, della fine del
‘500, tolta ai predoni. Oltre alla cappella della Madonna di Montenero, già
di S. Martino, eretta nel 1631, la chiesa conta otto altari laterali. Il primo
è eretto dall’oste Domenico Riva; il secondo dal capitano Tommaso Inghirami
nel 1629; il terzo, dalla Colonia Francese della città, ha un quadro di S.
Luigi Re opera di Matteo Rosellini; il quarto, con un quadro di S. Giovanni
Battista opera di Curradi, è eretto da quattro famiglie corse; il quinto
recante una Crocifissione di S. Andrea di autore fiammingo proviene dalla
Comunità Olandese; il sesto per custodire la statua Mariana dei Portoghesi; il
settimo delle Compagnia dei Cordigeri dedicato a S. Francesco; l’ottavo,
ornato da una Pietà del Volterrano eretta da un benefattore dell’Opera Pia di
Terrasanta. Vi sono inoltre sette artistici confessionali in stile barocco. Il
chiostro, molto elegante, in stile dorico di pietra serena è affrescato da
Antonio Tempestini, Giuseppe Bartolozzi e Rosselli. La chiesa, danneggiata in
modo grave dai bombardamenti è restaurata nel 1951.
C H I E S A
D E L L A S S. A N N U N Z I A T A
dei Greci Uniti.
La chiesa sorse su disegno di Alessandro Pieroni verso la fine del 1600. La
vecchia chiesa aveva l’altare maggiore e due piccoli laterali entro un’altra
paratia, “l’iconostasi”, ricca di intagli, dorature e immagini sacre di
cui le principali in argento. Aveva tre porte in corrispondenza degli altari; la
porta di mezzo era chiamata “regia” perché per la stessa passava solo Gesù
Cristo in Sacramento e i suoi sacerdoti. Il soffitto intagliato e gli stalli
appartenevano al Giambelli, lo stesso che fece il soffitto al Santuario di
Montenero. La facciata, in stile barocco si adorna di due colonne doriche che
sostengono le statue dell’Innocenza e della Mansuetudine porta l’arma
medicea e un bellissimo bassorilievo che raffigura l’Annunciazione. La chiesa
andata in gran parte distrutta dalla guerra fu acquistata
dall’Arciconfraternita della Purificazione che ha provveduto al restauro ed
alla riapertura al culto.
P A L A Z Z O
D E L G O V E R
N A T O R E
oggi sede della Guardia di Finanza. Secondo il Vivoli il palazzo, che doveva ospitare la corte del granduca Cosimo I, è edificato nel 1543, anno in cui Cosimo I dopo aver ottenuto la Fortezza Vecchia dagli Spagnoli, vi fece realizzare la propria residenza. In una scheda della Soprintendenza alle Belle Arti di Pisa l’edificazione del palazzo è datata tra il XV e il XVI° secolo. Costruito su parte delle antiche fortificazioni come residenza dei Capitani che vi esercitavano la giustizia nei primi tempi della Signoria Fiorentina, assunse il nome di Palazzo del Governatore quando i Capitani cambiarono il loro nome con quello di Governatori. La attuale forma bassa e larga è derivata da trasformazioni subite nel XVII° secolo. Nel 1769 Pietro Leopoldo vi fece aprire un collegio militare per i figli dei nobili. Nonostante le varie modifiche avvenute conserva tuttavia elementi d’ordine rustico come le finestre a bugno, tipiche dell’architettura medicea del XVI° secolo.
M O N T E
D I P I E T A’
si costruisce
nel 1701 su progetto degli architetti Giovanni Del Fantasia e Giuliano Ciacheri
per volontà di Cosimo I. La decisione è presa per la crescita dell’attività
del Monte tanto da far sì che la vecchia sede di piazza d’Arme non fosse più
sufficiente. La facciata sulla via Borra è in sintonia con quella dei ricchi
palazzi adiacenti. Il Monte possedeva due magazzini sul lato del Fosso.
P E S C H E R I A
N U O V A
ex Caserma dei
Vigili, fu progettato da G. Battista Foggini nel 1699. Appare come un complesso
quadrilatero a tre navate dalla parte del fosso e sette laterali su via dei
Pescatori. All’interno grossi pilastri sorreggono una copertura a volte; sopra
alza un piano probabilmente usato un tempo come magazzino ed uffici. del Fuoco.
L’edificio, a lungo sede dei “pompieri” ed oggi oggetto di restauro
conservativo La scelta del posto fu motivata dalla vicinanza dei canali e dalla
possibilità di concentrare in uno spazio piuttosto ampio tutti i venditori di
pesce della città. La Comunità, accettò di sostenere le spese della
costruzione che ebbe termine nel 1705.
C O N V E N T O
D E I P A D R I G E S U I T I
Tribunale.
L’edificio si costruisce su un’area risultata dalla demolizione di parte
della Fortezza Nuova. L’acquisto del terreno avviene nel 1697, la costruzione
è fatta dal Capitano Francesco Vincenti nel 1705. In origine il palazzo
conteneva una chiesa ed un convento destinato ad un ordine religioso femminile.
Cosimo III intese favorire i Gesuiti e fece in modo che Vincenti donasse a
questi il collegio perché provvedessero alla buona educazione della gioventù.
La chiesa ed il collegio, ridefiniti per la nuova destinazione dall’architetto
Del Fantasia, si aprirono nel 1707 a spese del granduca. La facciata della
chiesa era sulla via Giordano Bruno (attuale via della Madonna). L’edificio è
affidato alle monache dell’Ospedale della SS. Annunziata di Venezia nuova nel
1773 dopo la soppressione dei Gesuiti da parte di Clemente IV. Anche questo
secondo ordine sarà soppresso dopo cinque anni. In seguito la parte
settentrionale dell’edificio è assegnata come residenza al Vescovo della città
(ingresso lato fosso) e il resto dell’edificio occupato dal Paradisino nel
1811 che lo terrà fino al 1856. A seguito dell’affitto da parte del Vescovo
nel 1857, il locale è tutto occupato dal Tribunale. La chiesa dei Gesuiti,
divisa a metà, nella parte superiore è ridotta a sala udienze del Tribunale,
nella parte inferiore a magazzini.
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D I S A N T A C A T E R I N A
o dei
Domenicani. Il granduca Cosimo III concesse ai Domenicani, nella seconda metà
del XVII° secolo un terreno confinante con il cimitero urbano. I lavori per
l’edificazione del convento si interruppero quasi subito per riprendere nel
1701 sotto la direzione del Prefetto dei muratori del granduca. Insieme
all’ultimo ampliamento del 1710 si ultima il convento e la prima chiesa.
Volendo i padri Domenicani innalzare una chiesa
più grande è incaricato Giovanni Del Fantasia di studiarne il disegno.
Si pone la prima pietra nel 1720. Mentre all’interno vi sono dei bellissimi
dipinti su tela della scuola toscana del XVII° secolo e un bel dipinto del
Vasari, l’esterno non sembra molto riuscito. Vista esternamente, dopo le
modifiche apportate da altri architetti, la chiesa appare più come un palladio.
C O N V E N T O
D E I D O M E N
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ex carcere. Il
convento dei Domenicani sorge, come la chiesa su terreno donato dal granduca.
Dopo la soppressione dell’ordine dei Domenicani da parte di Pietro Leopoldo
nel 1785 il convento è ridotto a carcere. In quel tempo vi si ponevano i
malfattori ai quali era posto in petto un cartello recante scritto i delitti e
la condanna; questo modo di esporre i condannati è chiamato “la berlina”
proprio perché i prigionieri erano esposti alla pubblica derisione e
riprovazione. Dal Maggio 1809 furono carceri del governo francese. Diviene
carcere giudiziario nel 1871. Lo resterà fino agli anni ‘70 quando avviene il
trasferimento al più recente e moderno carcere delle Sughere. Durante il
fascismo i “Domenicani” ospitarono numerosi personaggi dell’antifascismo
tra cui Sandro Pertini. Attualmente il convento è interessato da un progetto di
recupero da parte della Soprintendenza BB. AA. di Pisa per essere, sembra,
destinato a sede dell’Archivio di Stato e Archivio Storico Comunale.
C H I E S A
D I S A N
F E R D I N A N D O
disegnata da
Giovanni Foggini fu innalzata nel 1708, coperta nel 1716 e aperta al culto nel
novembre 1717. E’ completata degli altari, ad esclusione di quelli prossimi
all’ingresso, nel 1722. Statue e rilievi marmorei appartengono al Baratta e in
parte di Cibri e di Lorenzo Gori. Monumento plastico architettonico del XVIII°
secolo di stile barocco, si annovera tra i migliori della Toscana e unico del
suo genere a Livorno, per iconografia e decorazione. L’interno include motivi
e ornati del Rococò, mentre prelude al neoclassicismo nei rilievi marmorei. A
pianta di croce latina con una sola navata accompagnata da sei cappelle
intercomunicanti con capitelli composti (ionico e corinzio), il disegno
appartiene a G. B. Foggini ma eseguito da Giovanni Del Fantasia. Il gruppo
marmoreo dell’altare maggiore, opera del Baratta, rappresenta l’angiolo
apparso a S. Giovanni di Mathà (fondatore dell’Ordine della SS. Trinità) per
il riscatto dei cristiani schiavi dei Musulmani avente ai piedi uno schiavo
cristiano ed uno moresco con le catene spezzate. Sulla porta d’ingresso, lo
stemma della chiesa: il nome di S. Ferdinando sormontato dalla corona granducale
dei Medici. A Livorno, la chiesa è più conosciuta come di “Crocetta”, dal
simbolo dei Trinitari, una croce latina rosso e blu ben visibile sul loro abito.
B O T T I N I
D E L L’ O L I
O
la decisione di
costruire i Bottini dell’Olio risale al 1698. Si costruiscono su un’area
precedentemente occupata da un capannone di legnami. La vicinanza del fosso
costituiva un altro punto a favore nella scelta del posto. Il Provveditore delle
Fabbriche di Livorno, Matteo Pini, inviò a Firenze due disegni da sottoporre
all’esame di Cosimo III. E’ approvato quello più modesto per 208 bottini.
Era previsto un salone rettangolare con due file di otto pilastri ciascuno. Le
vasche per l’olio erano sistemate in fila unica lungo le pareti minori e in
fila doppia lungo gli assi dei pilastri. I lavori terminarono nel 1704. Nel 1721
si esamina la possibilità dell’ampliamento: si pensa di occupare un capannone
e un magazzino attigui al fabbricato per altre vasche. L’ingrandimento è
decretato nel 1729 su progetto di Giovanni Del Fantasia. I lavori di
ingrandimento avranno termine nel 1733. Questo nuovo edificio, separato da
quello precedente da un blocco residenziale, era collegato al primo da un doppio
passaggio. I Bottini dell’Olio erano un laboratorio di rilevanza particolare
per il sistema di depurazione e conservazione degli oli. La funzione per la
quale erano stati costruiti sarà assolta fino alla seconda metà
dell’Ottocento, in seguito diverranno locale ad uso di deposito vario.
Attualmente sono utilizzati per esposizioni e manifestazioni culturali.
C I S T E R N O N E
architetto
Pasquale Poccianti di Bibbiena. Le basi si gettano a giugno del 1829, è
benedetto ed inaugurato il 20 giugno 1842 presente il granduca Pietro Leopoldo
II di Lorena. La facciata è adorna di un intercolunnio dorico di otto possenti
colonne; sovrasta una grande nicchia ai lati della quale dovevano sedere due
statue in marmo rappresentanti le due piccole sorgenti, la “Mora” e la
“Camorra” che tramandavano le loro limpide acque in questo grande deposito
da oltre undici miglia da Colognole. Al posto della “Morra” sta scritto: “
Undas, Labro tibi fundens ego Morra salubres - Quaque die laetor consuluisse
tibi “. In quella della “Camorra”: “ Et Camorra meas puro de fonte
ministrans - Dulce habui Tusci Principis imperium “. Vi furono poste due
statue provvisoriamente in gesso, che, a seguito di deturpamento ambientale,
sono tolte senza peraltro pensare a rifarle in marmo. Sopra la porta si trovano
iscrizioni latine che accennano alla storia della costruzione degli acquedotti e
della vasta cisterna. Nella stanza a sinistra sboccava,
attraverso un tubo in ghisa che giunge al Cisternino di Pian di Rota,
l’acqua di Colognole. Dinanzi alla porta principale si estende la grande
cisterna di cinque navate di larghezza e sette di lunghezza, l’ultima delle
quali essendo separata dalle altre, serve da “purgatorio” alle stesse. La
ricoprono quarantadue calotte sostenute da 56 pilastri d’ordine toscano. Sul
fondo della cisterna si legge: “ Me - saluberrimas acquas - in Liburnensium
commodum - servaturam - Leopoldus II M. E. D. - fecit - opere Pasch. Poccianti
arch. flor. “. Per festeggiare la venuta a Livorno del granduca Leopoldo con
la nuova sposa Maria Antonia, figlia di Francesco I di Borbone il 14 giugno
1833, Poccianti ebbe l’incarico dal Municipio di far grandi preparativi nel
Cisternone e nel viale dei Condotti (Carducci, oggi). All’interno della grande
cisterna, riccamente addobbata e illuminata si tenne una gran festa.
C I S T E R N I N O
oggi Casa della
Cultura. Come per il Cisternone il progetto appartiene a Pasquale Poccianti.
Costruito nel 1832 dal granduca Leopoldo II come deposito per l’acqua
potabile. è posto ad inizio via Grande. In buona architettura è ornato sulla
facciata al primo piano d’intercolunnio d’ordine ionico e balaustra. Il
Cisternino non è mai stato usato come deposito. Quando si provvide alla
costruzione della piazza del Voltone, il basamento è interrato per circa metà
per il livellamento della zona circostante. Allo scopo di adattarlo a nuovo
impiego, con un geniale adattamento interno è costruito un nuovo solaio che
dividendo in due il profondo serbatoio, ha permesso di ricavare due vaste sale
che costituiscono le parti essenziali dell’immobile.
P O R T A
S A N M A R C O
si trova dove
oggi la vediamo dal 1837 quando sono costruite le mura lorenesi. La porta, che
appunto dava il nome alla piazza, preceduta da una volta ad archi e colonne in
ferro è sormontata da un leone alato simbolo dell’evangelista San Marco della
Repubblica Veneta, scolpito a Carrara nel 1840 dal Nencini. Vi sono inoltre due
torrette a bozze di fuori che portano scolpiti trofei militari ed altri emblemi.
Da questa porta un tempo uscivano ed entravano le merci, mentre accanto, di
faccia alla stazione della via ferrata, vi era, per i passeggeri, la Barriera
San Marco. Sulla parte esterna si può vedere un busto di Enrico Bartelloni ed
una lapide con i nomi dei caduti durante le campagne di guerra. L’11 Maggio
1849 proprio da questa Porta i livornesi difesero eroicamente la città
dall’invasore austriaco.