REAZIONI
AVVERSE
AGLI
ALIMENTI
NEI
BA
M
B
I
N
I
A
cura
di
Le
reazioni
avverse
agli
alimenti
sono
un
capitolo
importante
della
patologia
infantile
e
sebbene
siano
note
sin
dall’antichità
solo
nel
secolo
scorso
hanno
trovato
dignità
scientifica.
Tra
le
avversioni
ai
cibi
bisogna
distinguere
le
reazioni
tossiche
(es.
avvelenamenti
da
funghi,
botulismo
ecc.)
da
quelle
non
tossiche
(allergia
al
latte,
favismo
ecc.)
Le
reazioni
non
tossiche
a
loro
volta
si
suddividono
in
reazioni
allergiche
(quelle
che
sottostanno
a
reazioni
immunologiche)
e
in
intolleranze
alimentari
(quelle
sostenute
da
meccanismi
sconosciuti,
ad
es.
l’intolleranza
al
glutine;
le
intolleranze
farmacologiche
come
la
cefalea
dopo
ingestione
di
cioccolato
da
imputare
alla
tiramina
contenuta
in
questo
alimento;
le
intolleranze
enzimatiche
ad
es.
la
diarrea
dopo
ingestione
di
latte
per
deficit
di
lattasi
o
il
favismo
per
deficit
di
un
particolare
enzima(6GPT)
che
permette
al
globulo
rosso
di
non
rompersi).
Tra
le
reazioni
avverse
agli
alimenti
le
più
comuni
sono
le
allergie
alimentari
che
sicuramente
in
questi
ultimi
decenni
sono
molto
aumentate
per
l’introduzione
di
nuovi
allergeni
(Kiwi,
papaya,
mango
ecc.)
e
per
la
manipolazione
dei
cibi
(aggiunta
di
conservanti,
additivi,
stabilizzanti,
coloranti
ecc.).
Nonostante
la
popolazione
allergica
sia
aumentata,
il
fenomeno
allergia
è
sicuramente
sovrastimato;
tant’è
che
le
diete
di
eliminazione
sono
seconde
per
diffusione
so-
lamente
a
quelle
per
obesità,
e
nettamente
più
frequenti
di
quelle
per
iper-colesterolemia,
diabete,
gotta,
malattie
più
comuni.
Allora
cosa
si
intende
per
allergia
ali-mentare?
Per
allergia
alimentare
si
intende
una
reazione
abnorme
del
nostro
organismo
all’ingestione
di
cibi
comunemente
innocui
per
la
maggior
parte
delle
persone.
Le
sostanze
contenuti
nei
cibi
che
sono
responsabili
di
queste
manifestazioni
sono
chiamate
allergeni.
Perché
si
sviluppi
una
allergia
alimentare
è
necessario
un
contatto
ripetuto
e
a
volte
prolungato
nel
tempo
con
l’alimento
incriminato
e
che
ci
sia
una
pre-disposizione
genetica:
l’individuo
deve
essere
geneticamente
“progettato”
a
produrre
in
eccesso
una
particolare
categoria
di
anticorpi
(le
IgE)
dirette
contro
l’alimento
stesso.
E’
quindi
frequente
che
un
bambino
allergico
abbia
nella
sua
famiglia
un
genitore
o
un
fratello
allergico;
ed
è
allo
stesso
modo
frequente
che
un
genitore
allergico
abbia
figli
a
loro
volta
allergici.
Potenzialmente
ogni
cibo
che
noi
intro-duciamo
nel
nostro
organismo
è
capace,
se
sussiste
la
predisposizione
genetica,
di
determinare
allergia;
in
realtà,
però,
esistono
degli
alimenti
che,
per
la
loro
costituzione,
sono
maggiormente
implicati
rispetto
ad
altri
nelle
manifestazioni
allergiche.
In
base
alla
capacità
di
determinare
sintomi
gli
alimenti
si
possono
quindi
suddividere
in
alimenti
frequentemente
implicati
nella
genesi
di
allergie
:le
uova,
il
latte,
il
pesce,
i
crostacei,
le
arachidi,
le
noccioline,
la
soia
ed
il
frumento),
alimenti
meno
frequentemente
responsabili
di
allergie
(la
mela,
la
noce,
il
sedano,
il
pomodoro,
la
banana,
il
kiwi,
la
pesca,
la
carota,
la
pera)
ed
alimenti
che
raramente
determinano
reazioni
allergiche
(semi
di
caffè,aglio
ecc.)
Che
cosa
succede
in
un
organismo
colpito
dall’allergia?
In
ogni
tessuto
del
soggetto
allergico
ci
sono
delle
cellule
chiamate
mastociti
sulla
cui
superficie
aderiscono
i
famosi
anticorpi,
le
IgE;
quando
le
IgE
specifiche,
adese
alle
mastcellule,
si
legano
agli
allergeni
alimentari
fanno
in
modo
da
farle
rompere
liberando
tutta
una
serie
di
sostanze
(i
mediatori
dell’infiammazione)
responsabili
dei
vari
disturbi,
il
più
importante
di
queste
è
l’istamina.
Quando
la
reazione
allergica
si
scatena
si
hanno
disturbi
che
variano
a
seconda
dell’organo
colpito.
Per
cui
possiamo
avere
l’eczema
o
l’orticaria
se
viene
colpita
la
cute,
l’asma
bronchiale
se
questo
è
l’apparato
respiratorio,
la
diarrea
e
il
vomito
se
è
l’apparato
gastrointestinale,
la
rinocongiuntivite
se
sono
gli
occhi
o
la
mucosa
nasale,
fino
ad
arrivare
allo
shock
anafilattico
se
il
disturbo
colpisce
vari
organi
contemporaneamente,
per
fortuna
questo
disturbo,
molto
grave,
è
una
evenienza
rara.
Per
verificare
se
un
soggetto
è
sensibile
ad
un
determinato
cibo
vi
sono
varie
metodiche
ormai
entrate
nella
routine
di
tutti
i
centri
di
allergologia
e
fra
questi
il
più
importante
e
diffuso
è
il
Prick
test,
esame
semplicissimo
e
di
lettura
quasi
immediata.
Esso
consiste
nel
porre
sulla
cute
una
goccia
di
allergene
dell’alimento
sospettato
e
pungere
la
pelle
con
una
lancetta
indolore
passando
at-traverso
la
goccia,
la
lettura
viene
effettuata
dopo
circa
15-20
minuti.
Se
il
bambino
è
sensibile
a
quella
sostanza
si
formerà
un
rigonfiamento,
chiamato
pomfo,
con
arrossamento
e
prurito.
In
determinate
condizioni
non
sempre
questo
esame
fatto
sulla
cute
è
possibile,
per
cui
bisognerà
ricorrere
ad
esami
più
sofisticati
che
si
eseguiranno
sul
sangue
per
la
ricerca
delle
IgE
specifiche.
Il
valore
prognostico
è
sovrapponibile
al
prick
test.
La
positività
di
questi
tests
non
significa
allergenicità
a
quegli
alimenti,
ma
testimoniano
che
il
bambino
è
andato
incontro
a
sensibilizzazione
verso
quelle
sostanze.
Ne
deriva
che
per
poter
parlare
di
allergia
in
un
soggetto
con
tests
di
sensibilizzazione
positivi
abbiamo
bisogno
di
eseguire
delle
prove
di
provocazione
con
gli
alimenti
incriminati
e
solamente
allora
in
caso
di
positività
di
questo
test
che
ci
troviamo
di
fronte
a
un
vero
bambino
allergico.
Pertanto
consigliamo
a
tutti
i
genitori,
prima
di
togliere
dalla
dieta
dei
loro
figli
alcuni
cibi
(latte,
fragole,cioccolato
ecc.)
di
rivolgersi
a
un
allergologo
pediatra,
in
modo
tale
da
non
stravolgere
la
qualità
di
vita
od
etichettarli,
a
sproposito,
come
bambini
allergici.