Evoluzione
in
grande
stile:
l’origine
dei
cetacei
A
cura
del
dr.
Michelangelo
Bisconti
Strano
a
dirsi,
c’è
stato
un
tempo,
nella
storia
della
vita
sul
nostro
pianeta,
in
cui
i
cetacei
camminavano
sulla
terraferma.
Sebbene
questa
frase
possa
sorprendere,
è
ormai
noto
che
gli
antenati
dei
delfini
e
delle
balene
che
oggi
popolano
i
nostri
mari
erano
mammiferi
terrestri
in
grado
di
muoversi
agilmente
fuori
dall’acqua.
Alcune
eccezionali
scoperte
effettuate
in
Pakistan
e
in
Egitto
documentano
infatti
l’esistenza
di
cetacei
dalla
morfologia
molto
arcaica
dotati
di
quattro
zampe
in
ecosistemi
prevalentemente
terrestri
di
circa
50
milioni
di
anni
fa.
I
cetacei
sono
un
ordine
di
mammiferi
perfettamente
adattato
alla
vita
in
mare
aperto.
Sono
animali
completamente
affrancati
dalle
terre
emerse
e,
a
differenza
di
altri
mammiferi
acquatici
come
le
foche
e
i
leoni
marini
(i
pinnipedi),
sono
in
grado
di
nutrirsi,
riprodursi
e
perfino
dormire
rimanendo
in
acqua.
La
forma
affusolata
del
corpo
consente
loro
di
fendere
l’acqua
con
facilità
e
una
pelle
dalla
superficie
perfettamente
levigata
abbatte
la
resistenza
idrodinamica
in
un
modo
che
ancora
oggi
non
è
del
tutto
chiaro;
le
caratteristiche
fluidodinamiche
della
pelle
dei
cetacei
sono
infatti
oggetto
di
studio
da
parte
di
ingegneri
aeronautici
interessati
alla
realizzazione
di
superfici
simili
da
applicare
ad
aeromobili
in
modo
da
ottenere
vantaggi
aerodinamici
e
risparmio
di
carburante.
Le
zampe
anteriori
dei
cetacei
si
sono
trasformate
in
pinne
mentre
le
zampe
posteriori
si
sono
ridotte
al
punto
da
perdere
qualunque
tipo
di
funzionalità
locomotoria.
Il
bacino
è
separato
dalla
colonna
vertebrale
e
all’estremità
della
coda
si
trova
una
pinna
orizzontale.
Il
collo
è
corto
e
la
testa
non
può
essere
piegata
di
lato.
Queste
caratteristiche,
comuni
a
tutti
i
cetacei
moderni,
si
sono
evolute
nel
corso
di
circa
50
milioni
di
anni
a
partire
da
mammiferi
terrestri.
Sebbene
non
ci
sia
accordo
tra
gli
studiosi
su
quale
sia
il
gruppo
di
mammiferi
da
cui
i
cetacei
si
sono
originati,
è
abbastanza
chiaro
che
gli
antenati
degli
attuali
delfini
e
balene
vada
ricercato
all’interno
di
un
grande
e
diversificato
gruppo
di
mammiferi
noti
come
artiodattili.
Gli
artiodattili
comprendono
molte
forme
diverse
a
dieta
generalmente
vegetariana
e
includono
gli
ippopotami,
le
gazzelle,
i
cervi,
e
svariate
specie
estinte.
Fra
queste,
in
un
gruppo
noto
come
mesonichidi
si
è
a
lungo
pensato
di
trovare
il
diretto
antenato
dei
cetacei.
Molti
indizi
paleontologici
suggeriscono
infatti
che
i
mesonichidi
(probabilmente
l’unico
gruppo
di
“proto”-artiodattili
a
dieta
carnivora
come
i
cetacei)
siano
i
mammiferi
dalle
caratteristiche
corporee
più
simili
ai
cetacei:
hanno
una
grossa
testa,
denti
organizzati
in
maniera
simile
ai
denti
dei
più
antichi
cetacei
conosciuti
e
ossa
uditive
che
preludono
l’architettura
delle
strutture
che
consentono
ai
cetacei
un
udito
subacqueo.
Analisi
molecolari,
però,
suggeriscono
che
gli
antenati
dei
cetacei
vadano
ricercati
negli
ippopotami
che
avrebbero
il
DNA
maggiormente
somigliante
a
quello
di
delfini
e
balenottere.
Alcuni
fossili
la
cui
descrizione
è
stata
pubblicata
alla
fine
del
2001
suggeriscono
infine
che
la
connessione
evolutiva
tra
cetacei
e
ippopotami
potrebbe
avere
anche
un
supporto
paleontologico.
I
lavori
sono
ancora
in
corso
e
nuovi
fossili
insieme
con
il
sequenziamento
di
larghe
parti
del
genoma
dei
cetacei
e
degli
attuali
artiodattili
forniranno
una
risposta
definitiva
da
qui
a
qualche
anno.
L’origine
dei
cetacei
rappresenta
uno
degli
eventi
evolutivi
meglio
documentati
dai
fossili.
Un
po’
come
la
scoperta
di
dinosauri
piumati
sta
via
via
svelando
il
percorso
storico
attraverso
il
quale
in
un
gruppo
di
dinosauri
carnivori
simili
al
tanto
celebrato
Velociraptor
sono
state
sviluppate
le
ali
e
tutti
gli
accorgimenti
necessari
per
spiccare
il
volo,
così
fossili
pakistani,
egiziani
e
nordamericani
scoperti
negli
ultimi
vent’anni
ci
hanno
mostrato
l’entità
delle
trasformazioni
morfologiche
che
hanno
condotto
un
mammifero
“dalla
testa
di
iena
e
le
zampe
di
gazzella”
(parafrasando
l’immagine
dei
mesonichidi
che
è
stata
fornita
da
un
importante
studioso
che
scriveva
alla
fine
degli
anni
’60,
Leigh
Van
Valen)
a
diventare
perfettamente
adattato
alla
vita
in
acqua.
I
più
antichi
cetacei
conosciuti
possono
essere
distinti
dagli
altri
mammiferi
per
l’architettura
dei
denti:
incisivi,
canini
e
premolari
sono
molto
spaziati
e
appuntiti
mentre
i
molari
si
specializzano
per
tagliare
le
carni
dei
pesci
che
rimangono
intrappolati
nella
stretta
dei
denti
più
anteriori.
Il
femore
si
riduce
fortemente
e,
nell’arco
di
due-tre
milioni
di
anni
dall’origine
del
gruppo,
l’osso
sacro
della
colonna
vertebrale
si
disintegra
in
una
serie
di
vertebre
la
cui
mobilità
consente
quel
meccanismo
di
ondulazione
dorso-ventrale
della
coda
tipico
del
nuoto
dei
cetacei
moderni.
Le
ossa
uditive
si
trasformano
rapidamente
per
permettere
all’animale
di
percepire
la
direzione
dei
suoni
sott’acqua
e
gli
organi
dell’equilibrio
cambiano
in
maniera
drastica
favorendo
l’acquisizione
di
quelle
caratteristiche
di
nuoto
acrobatico
che
tanto
sono
ammirate
nei
delfini
che
guizzano
nei
delfinari
e
sfruttando
l’onda
di
prua
delle
navi.
Nell’arco
di
poco
più
di
tre
milioni
di
anni,
i
cetacei
si
sono
completamente
trasformati
in
animali
acquatici
capaci
di
nuotare
velocemente
negli
oceani
del
nostro
pianeta.
Questa
transizione
fu
costellata
di
esperimenti
falliti
come
quello
di
Ambulocetus,
un
grosso
cetaceo
vissuto
in
un
mare
posto
dove
oggi
si
trova
il
Pakistan
e
ancora
dotato
di
quattro
zampe;
in
Ambulocetus,
le
zampe
erano
simili
a
quelle
dei
leoni
marini
e
mani
e
piedi
erano
molto
lunghi;
è
stato
ipotizzato
che
questo
cetaceo
primitivo
utilizzasse
questi
strani
arti
per
muoversi
sulla
terraferma
e
per
nuotare
in
maniera
simile
alle
attuali
lontre
marine.
E’
plausibile
che
anche
altri
cetacei
arcaici
avessero
bisogno
di
tornare
sulla
terraferma
per
qualche
motivo,
ad
esempio
per
riprodursi;
nel
caso
di
Pakicetus
(al
momento
il
più
antico
cetaceo
conosciuto),
si
conoscono
i
denti
da
latte
di
un
gran
numero
di
piccoli
che
vivevano
in
ambienti
fluvio-lagunari
in
prossimità
del
mare;
per
questo
si
pensa
che
Pakicetus
svezzasse
i
suoi
piccoli
sulla
terraferma.
Strani
cetacei
oggi
estinti
erano
i
basilosauri,
così
chiamati
perché
i
loro
resti
fossili
furono
originariamente
attribuiti
a
rettili;
questi
enormi
animali
lunghi
fino
a
15
metri
avevano
un
corpo
serpentiforme
e
una
testa
piccola;
i
basilosauri
possedevano
arti
posteriori
completi
di
femore,
tibia,
fibula
e
patella
attaccati
al
bacino;
questi
arti
erano
lunghi
non
più
del
5%
dell’intera
lunghezza
corporea
ma
la
loro
funzione
non
è
del
tutto
chiara;
è
stato
suggerito
che
queste
minuscole
zampe
venissero
utilizzate
come
guida
copulatoria
(avrebbero
aiutato
la
coppia
di
animali
a
rimanere
nella
posizione
corretta
durante
l’attività
sessuale).
I
basilosauri
erano
animali
molto
avanzati
per
l’epoca
in
cui
vivevano;
essi
sono
considerati
da
molti
il
gruppo
di
cetacei
da
cui
hanno
avuto
origine
delfini
e
balene,
o
meglio:
odontoceti
(cetacei
con
i
denti,
comprendono
delfini,
focene,
orche,
capodogli,
narvali,
mesoplodonti,
iperodonti
etc.)
e
misticeti
(cetacei
con
i
fanoni,
comprendono
balene,
balenottere,
balene
grigie,
megattere
e
balene
franche
pigmee).
La
complessità
strutturale
e
sensoriale
dei
cetacei
attualmente
viventi
è
enorme:
tra
i
cetacei
si
annoverano
gli
animali
più
altamente
encefalizzati
dopo
l’uomo
e
recenti
scoperte
dimostrano
l’esistenza
di
forme
di
cultura
tra
questi
animali
che,
in
alcuni
casi,
hanno
mostrato
di
essere
capaci
di
riconoscersi
allo
specchio.
La
storia
dei
cetacei
è
ricca
di
fascino
e
consente
di
capire
uno
dei
più
drammatici
eventi
di
trasformazione
evolutiva
mai
realizzatisi
nel
corso
della
storia
della
vita
sulla
Terra.
I
cetacei
che
oggi
popolano
tutti
i
mari
del
globo
comprendono
alcuni
degli
animali
più
complessi
mai
apparsi
sul
nostro
pianeta;
animali
che
però
oggi
corrono
un
serio
rischio
di
estinzione.
Dopo
la
caccia
indiscriminata
alle
balene
che
è
durata
più
di
centocinquant’anni
e
che
ha
letteralmente
distrutto
intere
popolazioni
di
questi
grandi
misticeti,
pare
che
almeno
alcune
specie
in
certe
zone
del
pianeta
si
stiano
riprendendo
e
il
baby
boom
che
è
stato
osservato
tra
le
balene
franche
dell’emisfero
australe
nel
corso
degli
ultimi
due
anni
ha
fatto
il
giro
del
mondo
più
volte
e
ha
riempito
le
pagine
web
di
internet.
La
ripresa
è
comunque
incerta
nell’emisfero
settentrionale
dove
le
balene
franche
continuano
a
non
riprodursi
in
maniera
da
superare
la
mortalità
naturale
e
quella
indotta
volontariamente
o
meno
dall’uomo.
I
piccoli
odontoceti
come
le
stenelle
dell’oceano
Pacifico
cadono
a
branchi
nelle
reti
di
pescherecci
che
prelevano
enormi
quantità
di
tonni.
Perfino
in
Mediterraneo
l’interazione
tra
pescatori
e
delfini
non
è
particolarmente
favorevole
a
questi
ultimi.
Si
può
essere
certi
che
la
coesistenza
di
uomini
e
cetacei
sarà
difficoltosa
per
molti
anni
ancora
e
che
chi
avrà
molto
da
perdere
da
questa
situazione
saranno
proprio
i
delfini
e
le
balene.
Tuttavia,
proprio
in
considerazione
dell’elevato
livello
di
complessità
di
questi
mammiferi,
molte
organizzazioni
internazionali
si
stanno
battendo
per
la
conservazione
dei
cetacei
attraverso
l’istituzione
di
santuari
protetti
e
la
sorveglianza
delle
attività
di
pesca.
E’
da
sperare
che
queste
organizzazioni
abbiano
successo
in
questo
enorme
sforzo
contro
giganteschi
interessi
economici
perché
la
scomparsa
dei
cetacei
dagli
oceani
terrestri
rappresenterebbe
un
devastante
impoverimento
della
biodiversità
planetaria,
lasciando
un
vuoto
incolmabile
negli
ecosistemi
e
nell’immaginario
collettivo
di
tutta
l’umanità.